
Pizzeria da Michele



Un must per chi vuole fare L'ESPERIENZA della Pizza con la P maiuscola...
Premessa: La recensione che scriviamo non vuole, propriamente, recensire la pizzeria in oggetto. Non vuole farlo semplicemente perché Michele a Napoli non ha bisogno di alcuna recensione; il suo livello – tra tradizione, cultura e qualità – è talmente alto che una recensione sarebbe sempre riduttiva.
Vogliamo invece presentare poche idee che possano servire come guida per tutti coloro i quali vogliono far l’esperienza della pizza.
Già, perché della pizza non tutti, seppur italiani, ne hanno esperienza; di questo cibo dalle origini antiche e popolari poche persone ne serbano intatta la cultura ed il rito. Per molte persone Michele presenterà un piatto nuovo, inusuale, per alcuni anche scandaloso. In un panorama gastronomico ove basta cuocere al forno un disco di pasta e metterci su qualcosa per poter parlare di pizza, è assolutamente anacronistico parlare dell’unica pizza. Ma come? La tradizionale pizza romana? Non è pizza anch’essa? E quella genovese? E quella con le patate? E quella prosciutto e funghi o wurstel e patatine – peccato di gola dei più piccoli? Michele non ha esitazioni: no! Sono svariati alimenti, buoni, saporiti o deliziosi, di forma circolare e cotti al forno, ma non sono “pizza”. Michele si spinge ancor più oltre nel suo fondamentalismo (singolare persino per Napoli) nell’usare con estrema parsimonia il plurale “pizze”. Eh già, perché le pizze sono al massimo due. La margherita, quella famosa, e quella più popolare, la marinara. Per non parlare delle regole ferree, quasi medievali quanto ad elasticità, che governano con pugno di ferro la preparazione di questo piatto unico. Pertanto, capiamo che è quantomeno difficile, per un simpatico “buongustaio”, entrare da Michele e dire d’esser entrati in un’ottima pizzeria fra le pizzerie. Questo simpatico buongustaio sarà presto deluso, forse anche ferito nel suo orgoglio, nel notare come qualsiasi prodotto estraneo alla preparazione tradizionale napoletana che voglia fregiarsi del titolo di “pizza” viene, nella migliore delle ipotesi, commentato con un risolino cinico da parte dei camerieri, ancor più dogmatici del pizzaiolo. Ma soprattutto questo simpatico buongustaio sarà ancor più piacevolmente ferito quando, assaggiando la pizza, si renderà conto che i camerieri hanno perfettamente ragione. Che soltanto Napoli, e Michele in particolare, riesce a portare ai giorni nostri un sapore unico, mai provato, che ti fa viaggiare secoli indietro – quando ancora la pizza era una e non veniva confusa con tante altre paste lievitate.
La pizza: Soltanto un aggettivo riesce, anche a rischio di ripeterci, a descrivere questo prodotto: originale. Non solo per una questione di primato alimentare, ma soprattutto per il sapore – che è originale sia perché è il primo, sia perché è davvero “singolare”; e singolare ancora una volta nel senso che è “uno”. Un sapore per una pizza: ecco il segreto di Michele. Spesso siamo abituati, frequentando le nostre pizzerie, a notare il buon sapore del pomodoro, la morbidezza della mozzarella o la qualità degli altri condimenti.
Ecco: da Michele scordatevi di poter scindere il sapore della pizza. Comprendiamo quindi il primo e fondamentale “errore” che commettono normalmente i nostri bravi comuni pizzaioli.
La pizza deve “sapere di pizza”. Non deve avere alcun gusto prevalente; non si può dire: “buona questa pizza, si sente proprio la mozzarella di bufala!” oppure: “qui il prosciutto è davvero intenso”.
A parte che tutti i condimenti al di fuori di mozzarella, origano, aglio, pomodoro e olio sono banditi, è un vero e proprio sbaglio far prevalere un sapore senza riguardi verso “l’intero”. Ho provato pizzerie ottime, dove mi sorprendevo di come la mozzarella fosse buona. Poi sono andato da Michele e ho scoperto un sapore unico, il sapore della pizza. Non sento la mozzarella o il pomodoro…sento la pizza!
Che dire, poi, dell’impasto? Già allo sguardo, la pizza di Michele distrugge un altro pregiudizio: che la pizza napoletana sia “alta”. Alta? E che significa alta? Quest’infelice aggettivo, nato per differenziare la pizza dalla sua imitazione romana, bassa e croccante, ha presto preso piede nel vocabolario culinario comune.
La pizza di Napoli sarebbe quindi una specie di pane gonfio e morbido condito con mozzarella e pomodoro. Manco a dirlo, una roba pesantissima! Infatti, è curioso notare come molte pizzerie della Capitale, specializzate nel prodotto basso, accontentino i clienti napoletani semplicemente raddoppiando la quantità d’impasto e presentando un mattone di rara omogeneità. Si capisce subito che un tale impiastro non assomiglia per nulla alla pizza napoletana.
La pizza di Michele è morbida, elastica, leggermente rialzata al bordo ma bassa per tutta la superficie del condimento. La sua caratteristica, che ha ispirato il mito della pizza “alta”, è la sofficità, la consistenza delicata, che si scioglie in bocca. Un pizzaiolo non esperto potrebbe pensare che solo un prodotto “alto” possa avere tale morbidezza. E invece no. Nell’estrema semplicità e linearità della pizza napoletana, le mani sapienti del pizzaiolo e la rigorosa e scientifica lavorazione dell’impasto portano ad un risultato di rara leggerezza: quasi come una nuvola che accompagna il condimento senza essere preponderante, un compagno discreto del pomodoro e della mozzarella.
L’impasto è infatti preparato con “pasta madre”, senza lievito di birra – che porta ad una fermentazione eccessiva che, come spiega il titolare della pizzeria, “continua anche nella pancia, dando la sensazione di pesantezza”.
Una pasta madre preparata secondo la ricetta di più di due secoli fa: semplicemente acqua e farina lasciati fermentare grazie ai microrganismi dell’aria. Se ne ottiene un impasto leggero e soffice, che verrà poi utilizzato come “pasta-lievito” per altri impasti di acqua e farina.
Abbiamo detto dei condimenti semplicissimi, ma ancora non abbiamo sfatato l’ultimo mito: la mozzarella che non è mozzarella.
Sì perché ormai parlare di “fior di latte” per la pizza suona quasi strano, ma è questo il prodotto caseario fondamentale.
La mozzarella contiene troppa acqua, renderebbe la pizza molle e non ben amalgamata.
Insomma: il fior di latte è quel tocco che consente alla pizza di assumere quel sapore delicato, non violento, che da Michele fa sì che, normalmente, si ordinino due pizze alla volta…per persona, ovviamente!
Stile e presentazione: Il luogo è minimal, ma non in un senso di moderno design. Non c’è nulla, solo la pizza, regina incontrastata.
Tavoli di marmo e sedie di legno, tovagliette di carta, posate avvolte in fazzoletti di carta e via! Visto che a partire già dalle 10 di mattina c’è una fila spropositata, spesso – se siete in due o in tre – mangerete a tavola insieme ad illustri sconosciuti… una vera e propria liturgia alimentare comunitaria!
E poi quadri, racconti, poesie, profumi, ricordi…le pareti fanno fatica a contenere tutto ciò che hanno visto e, soprattutto, sentito!
Consiglio spassionato: da Michele ci si va per gustare un’opera d’arte e non per fare una cena elegante fra amici un po’ chic.
Da Michele è importante la pizza, il resto (comodità, eleganza, raffinatezza) va beatamente al diavolo.
Se c’è lei, il resto non serve a nulla.
Quindi se non siete in vena di affrontare una lunga fila all’ingresso, un tavolo squallido pulito alla bell’e meglio e delle sedie di legno vecchio… andate in qualche ristorantone sul lungomare di Napoli!
Certo, ci avrete perso in cultura, storia, umanità e arte…ma pazienza…
Le bevande: Acqua e birra Peroni.
Quante volte devo dirvi che qui l’assoluta protagonista e finalità di tutte le cose è la pizza?!
